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sabato, 9 Novembre, 2024
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Il cammino dello spirito di Martina: da Montesano e Santiago de Compostela alla riscoperta di sé

Il cammino di Santiago è un cammino di anime”. Inizia così il racconto di Martina Manilia, giovane montesanese che solo qualche settimana fa ha deciso di intraprendere il cammino verso Santiago de Compostela.

Un viaggio durato quarantacinque giorni, attraverso la Francia e la Spagna ma soprattutto attraverso sé stessa, che non restituisce le risposte che si pensa di cercare ma quelle che servono per cambiare.

Cosa significa svegliarsi al mattino e sentire un richiamo che dalle proprie gambe arriva fin dentro al proprio animo lo sa bene Martina, che questo richiamo ha sentito di doverlo assecondare.

E così, zaino in spalla, qualche maglietta, una federa per il cuscino e un sapone di Marsiglia e Martina, in men che non si dica, da Montesano si è ritrovata al punto di partenza di quello è stato il viaggio che le ha trasformato l’anima.

Un sorriso le illumina il viso e gli occhi le brillano quando prova a raccontarci cosa l’ha spinta ad attraversare i Pirenei in direzione dell’oceano. Un bisogno così forte di scoprire e riscoprirsi, allontanandosi dalla realtà quotidiana, in un viaggio in solitaria “in cui soli non ci sente mai“!

Partita da Napoli e giunta in Francia, a Saint Jean Pied de Port, punto di partenza del pellegrinaggio, dopo 16 ore di viaggio tra aerei, treni, pullman, ritardi e coincidenze, Martina ha sfidato il sole e la pioggia e non si è mai arresa, dritta verso la conoscenza di sé stessa che solo la magia del Camino de Santiago fa vivere e provare.

Tantissimi i chilometri percorsi e tantissime le persone incontrate lungo questo pellegrinaggio che ogni giorno viene intrapreso per le ragioni più disparate: un viaggio di anime in cui non importa chi si é o cosa si è ma conta solo la meta finale. Un percorso introspettivo in cui Martina ha conosciuto il proprio spirito e, soprattutto, lo spirito delle persone che il cammino le ha messo sulla sua strada, riconoscendone la purezza ancor più negli occhi felici di chi conduce con sé una disabilità.

E proprio l’incontro con dei pellegrini speciali ha restituito a Martina il senso e il peso della propria esistenza: “quando ho incrociato i loro sguardi felici, mi sono sentita piena! All’improvviso non era l’ingresso in quella piazza a essere la ragione del mio viaggio ma il viaggio stesso e ciò che mi stava restituendo!

Martina non si è mai arresa, nemmeno quando la scalata dei Pirenei ha messo a dura prova il suo ginocchio o quando ha realizzato di aver dimenticato la sua fondamentale federa del cuscino nell’ultimo ostello in cui aveva dormito. Una federa che la magia del cammino le ha fatto ritrovare. Una perfetta congiunzione astrale che ha fatto sì che Martina incontrasse, alla sosta successiva, colui che aveva recuperato con sé la federa, certo che prima o poi l’avrebbe incontrata e gliel’avrebbe restituita!

Il cammino di Santiago porta con sé la costruzione di rapporti umani autentici e la condivisione del medesimo obiettivo azzera le distanze, unendo le persone in rapporti di amicizia che sembrano essere esistenti da sempre. Rapporti che hanno portato un gruppo di ragazzi e ragazze a fermarsi a due passi dalla piazza di Santiago per attendere Martina e abbracciare insieme la tanto agognata cattedrale. Oppure a portare con sé un piccolo pellegrino in fil di ferro, con la certezza che il cuore messo in quel pellegrinaggio lo avrebbe protetto dalle strettezze di uno zaino.

Il cammino di Santiago rappresenta un percorso di crescita, riflessione, connessione più profonda con il proprio io, con la natura, con il divino, attraverso il superamento di sfide fisiche ed emotive.

Ma Santiago non ha rappresentato, per Martina, il punto di arrivo. Lo spirito di Martina l’ha condotta a Finisterre, dove, nell’antichità, si credeva finisse il mondo e in quello che per secoli è stato considerato il punto più remoto della terra, Martina ha potuto lavare via tutta la stanchezza immergendosi nelle acque dell’oceano, pronta a tornare a casa, consapevole che nulla, dopo quei quarantacinque giorni, avrebbe avuto più lo stesso significato.

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