Chi è Fabrizio Carucci?
Sono un viaggiatore. Sono una persona a cui piace sorprendersi. Mi piace stupirmi di altre culture, altri modi di vivere, altri di modi di dare senso alla realtà.
Poi sì, sono uno psicologo, ma lontano dall’immaginario collettivo dello psicologo nel suo studio di psicoterapia. Per me la psicologia e una scienza del contesto, un insieme di intuizioni, a volte scientifiche e a volte narrative, attraverso cui è possibile analizzare qualsiasi contesto in cui gli esseri umani interagiscono: famiglia, organizzazioni, comunità, paesi, globo. In particolare in questo periodo mi appassiona molto questo ultimo livello, il globo, una sorta di geopsicologia, ovvero la dimensione emozionale (o inconscia) delle dinamiche geopolitiche in corso.
Che fa Fabrizio Carucci?
Faccio l’operatore umanitario con Medici Senza Frontiere, ho lavorato per diversi anni e in diversi paesi come psicologo e come responsabile della salute mentale. Attualmente invece sempre per Medici Senza Frontiere (MSF) mi occupo di Coordinamento Generale di progetti sul campo.
Come è arrivato a Medici Senza Frontiere?
Ho applicato per una posizione di Psicologo Clinico per un progetto di Medici Senza Frontiere a Trapani, ho partecipato a un percorso di reclutamento basato su competenze tecniche e trasversali. E’ andata bene! La mia esperienza con Medici Senza Frontiere è iniziata cosi. Ho iniziato a lavorare con Medici Senza Frontiere nel 2016 come psicologo clinico, appunto a Trapani, in Sicilia. Allora mi stavo occupando di psicologia dinamica in contesti di psicoterapia interculturale e il progetto che aveva allora Medici Senza Frontiere a Trapani era proprio basato su questo.
Quali sono le sue mansioni?
Da diversi anni sono Operatore umanitario con Medici Senza Frontiere e vado a lavorare in missioni ovunque ci sia bisogno e attualmente ricopro la posizione di coordinatore di progetto. Mi occupo principalmente di Medio Oriente ma ho lavorato molto anche in Africa e in progetti sulle rotte migratorie in vari Paesi Europei.
Il mio lavoro come coordinatore di progetto ha due componenti principali.
Una prima componente è relativa al contesto: ovvero capire le dinamiche del contesto locale, analizzare bisogni umanitari e soprattutto costruire e mantenere relazioni istituzionali con autorità e leader comunitari per assicurare che le attività mediche di Medici Senza Frontiere possano svolgersi in una situazione di tranquillità e fiducia. Operiamo in contesti molto difficili, spesso contesti di guerra, dove ci sono diversi gruppi in conflitto coinvolti ma la nostra azione medico umanitaria si rivolge a tutti i pazienti senza alcuna distinzione. Nelle nostre strutture sanitarie l’ingresso delle armi è vietato e nel momento in cui si entra tutti sono pazienti da curare e l’ospedale di Medici Senza Frontiere diventa un luogo neutro, un luogo dove il paziente è al centro, tutto il resto resta fuori. Il risultato a cui arrivare con il mio lavoro è questo sostanzialmente. Per arrivare a questo c’è un sacco di lavoro dietro, soprattutto in contesti di guerra.
La seconda componente principale del mio lavoro è operazionale, si tratta coordinare e supervisionare il lavoro dei capi dipartimento dei quattro pilastri organizzativi di Medici Senza Frontiere, ovvero il dipartimento medico, logistico, risorse umane, finanziario. Ogni dipartimento ha il suo ruolo vitale, e il mio compito è quello di assicurare che tutte le parti lavorino in sinergia per raggiungere gli obiettivi comuni.
Prima in libano, poi in Sudan, ora in Yemen. Con quali obiettivi?
Crescendo in Europa è difficile farsi un’idea sulle difficoltà a cui le persone vanno incontro in altre aree del globo, molte altre aree. Difficoltà e ostacoli che un europeo non ha mai provato e quindi difficili anche da immaginare. Il globo è pieno di persone che soffrono per la guerra, per disastri naturali, per mancanza di accesso a cure mediche, per mancanza di cibo o acqua. Una volta sentita quanto è profonda la sofferenza di persone che si trovano in queste situazioni si perde per sempre il senso di distanza e di indifferenza per le persone che vivono situazioni di estrema sofferenza. Nella fluidità generale della contemporaneità’ Medici Senza Frontiere ha più che mai senso. Non è solo questione di lavoro, va oltre. L’obiettivo per me è di dare il mio contributo a Medici Senza Frontiere a portare cure mediche gratuite negli angoli più remoti e vulnerabili del pianeta.
Visto da “casa loro”, come si possono aiutare le popolazioni?
Le persone che scappano, parliamo di milioni e milioni, una casa non ce l’hanno più da nessuna parte, hanno dovuto lasciare dietro di loro tutto quello che avevano e vivono situazioni disperate. Come Medici Senza Frontiere cerchiamo proprio di supportare queste persone dando non solo assistenza medica gratuita e di qualità ma anche prendendoci cura delle ferite psicologiche, le ferite nascoste e apparentemente non evidenti che come psicologo mi sono ritrovato spesso a curare. Pochi giorni fa parlavo con una mia amica medico di Beirut che improvvisamente ha dovuto lasciare la sua casa con suo marito e i figli piccoli a causa dei bombardamenti che Israele sta eseguendo in Beirut. Quale casa loro? La mia amica la sua casa non l’avrebbe mai lasciata se avesse potuto scegliere. C’erano i suoi sogni dentro, la sua storia, i sacrifici fatti per comprarla. C’era tutto in quella casa. Ha fatto appena in tempo a lasciarla perché’ pochi giorni dopo la sua casa e finita sotto le bombe e non esiste più e con essa tutto quello che una casa rappresenta per una famiglia.
Come vede la situazione in Libano?
l Libano è un paese affascinante, con una bellezza naturale che spazia dalle montagne ai litorali. La sua storia è ricca e complessa, con influenze di molte culture diverse. Le tradizioni locali, dalla cucina alla musica, riflettono questa ricchezza. Ho vissuto 3 anni in Libano e quello che sta accadendo mi tocca da vicino perché’ mi sento quotidianamente con amici e colleghi che stanno subendo questa situazione e stanno cercando di fare fronte all’incertezza, alla paura, al terrore. Parlavo ieri con una mia amica che nonostante sia terrorizzata ha deciso di non lasciare il Libano nonostante viva in una zona pericolosissima perché’ si sta prendendo cura della madre che per motivi di salute non può muoversi. Vivendo in Libano mi sono sentito come a casa, in sud Italia. Il modo di vivere dei Libanesi per molti aspetti è davvero simile al sud Italia. Davvero difficile guardare le immagini di quello che sta accadendo. Nessuno può essere indifferente per quello che sta succedendo alle persone a Gaza, in Libano e in molti altri posti. La guerra va fermata subito.
Il ruolo di Medici Senza Frontiere?
Medici Senza Frontiere è composta principalmente da medici e operatori sanitari come infermieri, ostetriche, psicologi, farmacisti ma anche da altre figure tecniche importantissime come i logisti che ci permettono di portare assistenza medica anche in località remote dove non esiste un ospedale o un clinica locale.
L’organizzazione ha una duplice missione: fornire assistenza medica in situazioni di crisi ed emergenze (conflitti, calamità naturali o assenza di cure mediche) e testimoniare le condizioni e i bisogni delle popolazioni che serve.
A livello di testimonianza l’organizzazione racconta all’opinione pubblica le conseguenze delle crisi umanitarie per aumentarne la consapevolezza e mobilitare la comunità internazionale.
Ha mai avuto timore?
Certo, capita si’! Noi operatori umanitari non siamo eroi, certamente quando ci troviamo in situazione di guerra abbiamo timori, abbiamo paura, come tutti! La volta che più ho avuto timore è stata in Sudan ad Aprile 2023. Ero a Khartoum quando improvvisamente è scoppiata una guerra tra RSF (Rapid Support Forces) e SAF (Sudanese Armed Forces) e la nostra base era praticamente nel mezzo dei combattimenti. Sia i combattimenti su strada sia i combattimenti con artiglieria pesante e bombardamenti aerei sono iniziati esattamente nell’area in cui era la nostra base. E’ stato davvero difficile in quella situazione. Eravamo praticamente improvvisamente circondati da una enorme guerra. Una guerra che ancora continua oggi e a causa della quale decine migliaia di persone sono state uccise, più di 8 milioni di persone sono dovuti scappare dalla loro casa e sono diventati sfollati. A oggi la situazione in Sudan è ancora una catastrofe, più di 25 milioni di persone hanno bisogno di assistenza umanitaria e il deterioramento dei rischi per la sicurezza alimentare sta innescando una gravissima crisi nutrizionale.
Medici senza frontiere apre cliniche anche in italia…con quali obiettivi?
MSF lavora in Italia dal 1999, assistendo migranti, rifugiati e le persone più vulnerabili e marginalizzate. L’obiettivo è fornire assistenza medica, umanitaria, psicologica e socio-sanitaria, colmando le carenze nel sistema sanitario italiano.
Attualmente MSF Italia è presente a Palermo dove gestisce, in collaborazione con il Policlinico Universitario Giaccone e l’Università degli Studi di Palermo, una clinica multidisciplinare per la riabilitazione dei migranti e rifugiati sopravvissuti a violenza internazionale e tortura.
In Italia c’è il progetto “People on the Move”, in cui Medici Senza Frontiere offre supporto medico e psicologico alle persone migranti.
Per Corridoi Umanitari -Out of Lybia- Medici Senza Frontiere ha fornito alloggio a 25 persone e ha seguito 12 di loro nel percorso di riabilitazione nella clinica di Palermo per sopravvissuti a violenza intenzionale e tortura.
Poi sono attive le operazioni di Ricerca e soccorso nel Mar Mediterraneo con la nave Geo Barents.
Cosa pensa del trasferimento in Albania dei Migranti giunti in Italia?
La questione della migrazione è complessa e richiede un equilibrio tra sicurezza e diritti umani. Le organizzazioni umanitarie, come Medici Senza Frontiere, si trovano spesso in prima linea nel documentare e rispondere alle conseguenze di queste politiche. Come operatori umanitari, è fondamentale continuare a sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni sui diritti delle persone migranti e sulla necessità di garantire percorsi sicuri e legali.
Il patto siglato tra Italia e Albania si spinge un passo oltre gli accordi di esternalizzazione che il governo italiano o le istituzioni europee hanno firmato negli ultimi anni con Turchia, Libia e Tunisia.
L’obiettivo non è più solo quello di scoraggiare le partenze, ma di impedire attivamente alle persone in fuga e a chi viene soccorso in mare di accedere in modo rapido e sicuro al territorio europeo, aggirando così gli obblighi di protezione e soccorso sanciti dal diritto internazionale e dalle Convenzioni europee.
Grande Fabrizio